Cassazione Penale, Sez. 4, 07 ottobre 2022, n. 38033 – Folgorato dal contatto tra il trattore e la linea ad alta tensione durante lo scarico di letame nel terreno. Responsabilità del committente
Presidente: FERRANTI DONATELLA Relatore: VIGNALE LUCIA
Data Udienza: 27/09/2022
Fatto
- La Corte di appello di Brescia, con sentenza del 14 settembre 2021, ha confermato integralmente la sentenza pronunciata dal Tribunale di Mantova il 13 settembre 2017, L.DB. è stato ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 589 cod. pen. e condannato alla pena, condizionalmente sospesa, di anni uno e mesi quattro di reclusione. Va subito chiarito che L.DB. era inizialmente imputato insieme ad altri e gli era stata contestata violazione degli artt. 113 e 589 cod. pen. Tutti i coimputati, però, sono stati assolti in primo grado con sentenza ormai definitiva, sicché l’affermazione della penale responsabilità è riferita a un reato monosoggettivo.
- Il procedimento ha ad oggetto un infortunio sul lavoro verificatosi il 28 maggio 2014 a Goito, in un terreno del quale era affittuaria la società agricola «Trombetta 1» (della quale L.DB. era socio). In base alla ricostruzione dei fatti accolta nel giudizio di merito, l’infortunato, A.L., stava scaricando letame nel terreno avvalendosi di un trattore con rimorchio che gli era stato affidato da L.DB. e, appoggiandosi al telaio del rimorchio, rimase folgorato perché il cassone, sollevato per scaricare il letame, era entrato in contatto con i fili dell’alta tensione che, proprio in quel punto, attraversavano il campo.
A carico di L.DB. sono stati individuati profili di colpa consistenti: nell’aver messo a disposizione di A.L. un mezzo che, nella fase dello scarico del letame, poteva raggiungere una altezza notevole e perciò non avrebbe dovuto essere utilizzato in un terreno sopra al quale correva, ad otto metri di altezza, una linea ad alta tensione; nel non aver fornito informazioni all’imputato sull’altezza dei fili elettrici e sui rischi insiti nell’operare nella zona sottostante.
Secondo le sentenze di primo e secondo grado non si tratterebbe soltanto di colpa generica per imprudenza, negligenza o imperizia, ma anche di colpa specifica per violazione degli artt. 71, 83 e 37 d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81. Ciò in quanto, al momento del fatto, A.L. stava svolgendo una attività lavorativa della quale era stato incaricato da L.DB., che gli aveva fornito, per svolgerla, sia il trattore che il rimorchio. - Il difensore di fiducia dell’imputato ha proposto tempestivo ricorso contro la sentenza articolando tre diversi motivi.
3.1. Col primo motivo l’esponente lamenta violazione dell’art. 606 comma 1 lett. b) cod. proc. pen. per erronea applicazione degli artt. 2 e 26 d.lgs. n. 81/08.
Osserva che tra L.DB. e A.L. non vi era un rapporto di lavoro e le sentenze di merito hanno erroneamente ritenuto applicabile il d.lgs. 81/08.
Rileva in proposito:
– che la circostanza per cui fu L.DB. a consegnare il trattore ad A.L. e a incaricarlo di scaricare il letame nel terreno può essere desunta dalle dichiarazioni di un unico testimone che non ha assistito né al conferimento dell’incarico né alla consegna del trattore e ha riferito solo che L.DB. gli comunicò di avere intenzione di agire in tal senso (si tratterebbe dunque di una circostanza non provata con certezza);
– che la sentenza impugnata fa ampio riferimento agli obblighi imposti al committente dall’art. 26 d.lgs n. 81/08, ma a L.DB. non è stato contestato di aver rivestito il ruolo di committente.
Il difensore sottolinea (come già aveva fatto nell’atto di appello) che l’art. 26 d.lgs. n. 81/08 non compare nel capo di imputazione. Sembra dunque sostenere (ma non lo fa in termini espliciti, come aveva fatto invece nell’atto di appello) una violazione dell’art . 521 cod. proc. pen. per difetto di corrispondenza tra chiesto e giudicato. Lamenta che, pur in assenza di elementi di prova in tal senso, le sentenze di merito avrebbero ipotizzato la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato o ad esso equiparabile ignorando che A.L. si era offerto di eseguire il lavoro per ricambiare un favore. Sottolinea che L.DB. non era informato di come A.L. avesse intenzione di procedere e pertanto – a differenza di quanto sostiene la sentenza impugnata – non si ingerì in alcun modo nell’esecuzione di quel lavoro, che l’infortunato svolse in piena autonomia.
3.2. Col secondo motivo il ricorrente lamenta erronea applicazione dell’art. 40 cod. pen. Sostiene che l’evento letale fu reso possibile dal comportamento dell’infortunato cui era «ben nota» la pericolosità del luogo «caratterizzata dalla presenza di linee ad alta tensione».
3.2. Col terzo motivo il ricorrente si duole del mancato riconoscimento delle attenuanti generiche che non sono state ritenute applicabili non ostante l’incensuratezza e l’intervenuto risarcimento del danno.
- Il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
Diritto
- I motivi di ricorso non superano il vaglio di ammissibilità.
- Ancorché lamentino violazione dell’art. 606 comma 1 let:t. b) cod. proc. pen primi due motivi si concentrano soprattutto sulla ricostruzione dei fatti accolta dai giudici di merito per contestarla e fornirne una alternativa. Chiedono perciò, nella sostanza, di reinterpretare gli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione e tale operazione è estranea al giudizio di legittimità (cfr. tra le tante: Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, Caradonna, Rv. 280747; Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, Rv. 277758; Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Ferri, Rv. 273217).
La sentenza impugnata non ignora la tesi difensiva, secondo la quale, in assenza di un rapporto di lavoro, non sarebbe legittimamente rimproverabile all’imputato la violazione di norme del d.lgs. n. 81/08. Sottolinea, però (con puntuali richiami alle emergenze istruttorie), che fu Di Benedetto a incaricare A.L. di trasportare il letame nel terreno e di stenderlo sul campo e che, per consentirgli di farlo, gli fornì un trattore con semirimorchio di grandezza tale che il cassone, una volta sollevato (ciò che era necessario fare per scaricare il letame), poteva raggiungere l’altezza di otto metri ed entrare in contatto con i fili dell’alta tensione.
Muovendo da queste premesse, la Corte territoriale osserva che l’art. 2 d.lgs. n. 81/08 definisce il lavoratore, destinatario della tutela antiinfortunistica, come «la persona che, indipendentemente dalla tipologia contrattuale, svolge un’attività lavorativa nell’ambito dell’organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione» e tale definizione, poiché fa leva sullo svolgimento dell’attività lavorativa nell’ambito dell’organizzazione del datore di lavoro indipendentemente dalla tipologia contrattuale, è più ampia di quella prevista dalla normativa pregressa nella quale si faceva riferimento al «lavoratore subordinato» (art. 3, d.P.R. n. 547 del 1955) e alla «persona che presta il proprio lavoro alle dipendenze di un datore di lavoro» (art. 2, comma 1, lett. a, D.lgs. n. 626 del 1994) (in tal senso, Sez. 3, n. 18396 del 15/03/2017, Cojocaru, Rv. 269637).
La sentenza impugnata sottolinea:
– che A.L. si recò in un campo del quale era affittuaria la società agricola «Trombetta 1»;
– che L.DB. era tra i titolari dell’azienda ed era interessato allo svolgimento del lavoro di concimazione del terreno, per svolgere il quale, infatti, aveva incaricato, con apposito contratto d’opera, F.M. (il quale lavorava con proprie attrezzature in un’altra parte del campo e utilizzava un veicolo di dimensioni assai minori);
– che fu L.DB. a fornire ad A.L. il trattore e il semirimorchio necessari al trasporto del letame da scaricare nel campo;
– che, pertanto, F.M. è credibile quando sostiene di aver ricevuto da L.DB. l’incarico di recarsi a prelevare il letame in un luogo vicino, mentre A.L., che aveva «un rimorchio più grande» – e poteva quindi caricare (e poi scaricare) una quantità maggiore di letame – fu mandato più lontano, «a Villafranca».
Osserva che, avendo svolto attività lavorativa nell’interesse di L.DB., nel terreno affittato dall’azienda agricola da lui gestita, avvalendosi di mezzi da lui forniti e secondo le sue indicazioni, A.L. era destinatario della tutela antiinfortunistica ai sensi dell’art. 2 d.lgs. n. 81/08 e non rileva se tale attività doveva essere retribuita o era svolta per «sdebitarsi di un piacere ricevuto».
2.1. A sostegno di tali conclusioni la sentenza impugnata e quella di primo grado richiamano anche l’art. 26 d.lgs. n. 81/08 e osservano che, in base a questa norma, quando affida a lavoratori autonomi o a soggetti terzi il compito di svolgere determinate lavorazioni, il committente continua ad esser,e responsabile del rispetto della normativa antiinfortunistica se si ingerisce nell’attività del lavoratore autonomo. Secondo i giudici di merito, nel caso di specie, non si può ragionevolmente dubitare che tale ingerenza vi sia stata perché il trasporto e lo scarico del letame (eseguiti nell’interesse dell’impresa della quale L.DB. era socio) avvennero utilizzando il trattore e il rimorchio forniti dall’imputato.
Si tratta di argomentazioni non illogiche né contraddittorie e conformi ai principi di diritto che regolano la materia.
È certamente vero, infatti – come il ricorrente non manca di sottolineare – che «per valutare la responsabilità del committente, in caso di infortunio, occorre verificare in concreto l’incidenza della sua condotta nell’eziologia dell’evento, a fronte delle capacità organizzative della ditta scelta per l’esecuzione dei lavori, avuto riguardo alla specificità dei lavori da eseguire, ai criteri seguiti dallo stesso committente per la scelta dell’appaltatore o del prestatore d’opera, alla sua ingerenza nell’esecuzione dei lavori oggetto di appalto o del contratto di prestazione d’opera, nonché alla agevole ed immediata percepibilità da parte del committente di situazioni di pericolo» (Sez. 4, n. 5946 del 18/12/2019, dep. 2020, Frusciante, Rv. 278435); e tuttavia non si può ignorare che, nel caso di specie, l’incarico era stato conferito ad un singolo individuo, i mezzi per svolgerlo erano stati forniti dal committente e questi era così ben informato della situazione di pericolo da aver avvisato F.M. (il quale ha reso dichiarazioni in tal senso) «di stare attento ai fili dell’alta tensione» (così, testualmente, pag. 4 della sentenza impugnata).
2.2. Per quanto riguarda l’ipotizzata violazione dell’art. 521 cod. proc. pen. si osserva che, quando la contestazione concerne globalmente la condotta addebitata come colposa, è consentito al giudice di aggiungere, agli elementi di fatto contestati, altri estremi di comportamento colposo o di specificazione della colpa, emergenti dagli atti processuali e, come tali, non sottratti al concreto esercizio del diritto di difesa (in tal senso, tra le tante: Sez. 4, n. 7940 del 25/11/2020, dep. 2021, Chiappalone, Rv. 280950; Sez. 4, n. 35943 del 07/03/2014, Denaro, Rv. 260161).
Nel caso di specie, peraltro, il riferimento all’art. 26 d.lgs. n. 81/08, vale a sottolineare che la violazione delle regole cautelari previste dal d.lgs. n. 81/08 può essere ritenuta sussistente perché, da parte di L.DB., vi fu ingerenza nello svolgimento dell’attività commissionata al lavoratore e, quindi, la colpa specifica contestata all’imputato prescinde dall’individuazione delle caratteristiche del rapporto di lavoro e delle ragioni per cui A.L. aveva trasportato il letame e si apprestava a stenderlo. Pertanto, il fatto che la sentenza impugnata ha ritenuto esistente è esattamente il fatto che è stato contestato all’imputato, con la sola esclusione della cooperazione colposa di cui all’art. 113 cod. pen.
- Col secondo motivo il ricorrente sostiene che l’infortunio fu determinato da comportamento abnorme del lavoratore da solo sufficiente a determinare l’evento. A questo proposito si deve ricordare che, per giurisprudenza costante, un comportamento, anche avventato, del lavoratore, se realizzato mentre egli è dedito al lavoro affidatogli, può essere invocato come imprevedibile o abnorme solo se il datore di lavoro ha adempiuto tutti gli obblighi che gli sono imposti in materia di sicurezza sul lavoro (Sez. 4, n. 12115 del 03/06/1999, Grande A., Rv. 214999; Sez. 4, n. 1588 del 10/10/2001, Russello, Rv. 220651) e che nel caso di specie – a differenza di quanto sostenuto dal ricorrente – l’evento lesivo non si verificò perché il comportamento del lavoratore determinò l’attivarsi di un rischio eccentrico rispetto a quello prevedibile, ma perché quel rischio non fu prevenuto in maniera adeguata.
Secondo la sentenza impugnata «si può dare per provata la consapevolezza da parte di A.L. dell’esistenza di una linea elettrica che passava sopra al campo, ma questo non esclude la responsabilità dell’imputato che mise a disposizione del lavoratore un mezzo così grande da poter raggiungere la linea elettrica senza neppure informarlo di tale situazione di pericolo e senza spiegargli che, date le dimensioni del cassone, alzandolo per tutta la sua estensione era possibile arrivare all’altezza dei fili elettrici e toccarli.
Tale decisione non è censurabile né sotto il profilo dell’identificazione del rischio concretizzatosi, né per quanto riguarda le regole cautelari applicabili. Neppure è censurabile, perché coerente con le emergenze istruttorie, l’identificazione della condotta alternativa doverosa, individuata nella scelta di un veicolo diverso e meno ingombrante e nel compimento di attività di informazione e formazione preventiva che furono invece completamente omesse.
- E inammissibile anche il terzo motivo, col quale il ricorrente lamenta la carenza della motivazione relativa al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
La Corte territoriale osserva che l’unico elemento dedotto dalla difesa per sostenere l’applicabilità di tali circostanze è rappresentato dall”incensuratezza e si tratta di un dato insufficiente per espressa previsione legislativa, tanto più in presenza di gravi profili di colpa. Nel ricorso si sostiene che le attenuanti generiche avrebbero dovuto essere riconosciute per l’avvenuto risarcimento del danno, ma il ricorrente non ha documentato tale risarcimento del quale non si fa menzione nelle sentenze di merito e neppure nell’atto di appello.
Si deve ricordare allora: da un lato, che il giudice di appello non è tenuto a motivare il diniego delle circostanze attenuanti generiche quando ne sia stato chiesto il riconoscimento senza addurre alcuna particolare ragione (Sez. 1, n. 33951 del 19/05/2021, Avallane, Rv. 281999; Sez. 4, n. 5875 del 30/01/2015,
Nargisio, Rv. 262249; Sez. 4, n. 86 del 1990, Amarante, Rv. 182959); dall’altro che, al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche, il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente e atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato e alle modalità di esecuzione di esso può risultare sufficiente allo scopo (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, De Cotiis, Rv. 265826; Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014; Lule, Rv. 259899). Tali principi portano ad escludere la carenza di motivazione lamentata dal ricorrente.
- Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Tenuto conto della sentenza della Corte Costituzionale n.186 del 13 giugno 2000 e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il ricorrente abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, segue, a norma dell’art.616 cod.proc.pen. l’onere del versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, determinata, in considerazione delle ragioni di inammissibilità del ricorso stesso, nella misura di euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 27 settembre 2022
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