Cassazione Penale, luglio 2020 – Condanna Medico Competente. Nesso di causalità tra condotta omissiva del M.C. e decesso del lavoratore
Presidente: CIAMPI FRANCESCO MARIA Relatore: TORNESI DANIELA RITA
Data Udienza: 21/01/2020
Fatto
1. Con sentenza del 23 maggio 2018 il Tribunale di Como dichiarava C.V., nella qualità di medico del lavoro, responsabile del reato di cui all’art. 590 sexies cod. pen. (così riqualificata l’originaria imputazione di cui all’art. 589 cod. pen.) in danno di A.M. e lo condannava alla pena, condizionalmente sospesa, di anni uno di reclusione. Il C.V. veniva condannato al risarcimento dei danni in favore delle parti civili Omissis M. da liquidarsi in separata sede, con l’attribuzione di una provvisionale di euro 50.000,00 in favore di ciascuna di esse.
1.1. In particolare al predetto imputato, nella qualità di medico del lavoro, era ascritto di aver cagionato, per colpa consistita in negligenza, imperizia ed imprudenza ed inosservanza delle regole che presiedono l’arte medica, la morte di A.M., dipendente della ditta Cappellini con sede in Mariano Comense, avvenuta in data 13 luglio 2014:
– per avere omesso, nel redigere i certificati di idoneità lavorativa del 12 dicembre 2012 e del 12 dicembre 2013, di effettuare un’adeguata valutazione dei risultati degli esami ematochimici del 18 dicembre 2012 e del 16 dicembre 2013 con specifico riferimento alle alterazioni della crasi ematica che presentava evidente leucopenia, lieve anemia, piastrinopania, pancitopenia, linfocitosi con segnali di evidente peggioramento rispetto agli esami precedenti;
– per aver omesso qualunque informazione e comunicazione dell’esito degli esami sopraindicati al diretto interessato e al medico curante, determinando così un ritardo diagnostico della patologia (mielodisplasia) della quale il A.M. era affetto da almeno due anni compromettendo così le possibilità di intervento terapeutico che avrebbero potuto allungarne la durata della sopravvivenza e migliorare la qualità della vita.
2. Con sentenza del 12 febbraio 2019 la Corte di Appello di Milano, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, concesse le attenuanti generiche, ha ridotto la pena a mesi otto di reclusione.
3. Secondo la ricostruzione operata dai giudici di merito il C.V. è incorso in un errore diagnostico per non avere correttamente valutato, per colpa, la gravità del quadro clinico emergente dalle visite periodiche eseguite negli anni 2012 e 2013 e, in particolare, dagli esami ematochimici da cui risultava una grave forma di leucopenia e di piastrinopenia con inversione della formula leucocitaria, e, conseguentemente, per non avere comunicato al lavoratore e al medico curante la situazione allarmante sul suo stato di salute che di lì a poco si sarebbe manifestata, in forma conclamata, nella malattia (mielodisplasia) che ne ha cagionato la morte, il cui ritardo diagnostico ha compromesso la possibilità di un intervento terapeutico che gli avrebbe quantomeno procrastinato l’esito infausto.
Viene rimproverato al C.V., in presenza del predetto quadro clinico, di avere sottovalutato le condizioni del lavoratore, quanto meno pre – patologiche, che imponevano lo svolgimento di ulteriori accertamenti sanitari e di non avere espresso un giudizio di inidoneità al lavoro.
4. C.V., a mezzo del difensore di fiducia, ricorre per cassazione avverso la predetta sentenza lamentando, con un unico motivo, il vizio motivazionale e l’inosservanza e/o erronea applicazione di legge.
Nel contestare la sussistenza dei profili di condotta colposa addebitati a suo carico, sostiene la correttezza del suo operato per essersi accertato dello stato di salute di A.M., nell’ambito dei compiti al medesimo assegnati, in relazione alla sua qualifica di medico competente, e di avere correttamente formulato i giudizi di idoneità al lavoro tenendo conto delle mansioni che gli risultavano anche da quanto riferitogli direttamente dal datore di lavoro (ovvero, di addetto alle operazioni di banco, montaggio di cassetti, assemblaggio ed imballaggio). Sottolinea di essersi premurato di avere riferito al A.M. di rivolgersi al medico curante per effettuare ulteriori accertamenti clinici. Rappresenta che la Corte distrettuale non ha tenuto conto delle risultanze istruttorie del giudizio di primo grado che escludevano la sussistenza del nesso di causalità tra la condotta tenuta dall’imputato e l’evento morte. Afferma che non gli è imputabile alcun errore diagnostico per non avere riscontrato la displasia midollare da cui era affetto il lavoratore (malattia ematologica e non oncologica), i cui sintomi si erano manifestati solo alla fine del mese di aprile 2014.
Rileva l’erroneità del giudizio controfattuale operato nella sentenza impugnata che risulta contrastante con le risultanze processuali.
Sottolinea, infine, quanto al trattamento sanzionatorio, che la Corte distrettuale gli ha concesso le attenuanti generiche in relazione all’avvenuto versamento della provvisionale in favore delle parti civili (il che non può essere considerato quale ammissione di responsabilità) e non per i motivi invocati nell’atto di appello ove veniva chiesto di valutare il grave comportamento doloso tenuto dalla persona offesa ai fini dell’applicazione delle circostanze di cui all’art. 62 n. 5 cod. pen.
4.1. Conclude chiedendo, in via principale, l’annullamento della sentenza senza rinvio con conseguente assoluzione di C.V. dal reato contestatogli e con rigetto della costituzione di parte civile, con ogni conseguenza di legge, o in subordine con l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Milano.
Diritto
1. Il ricorso è fondato nei termini che seguono.
2. Le questioni sottoposte all’esame del Collegio impongono di procedere all’esatta delimitazione del ruolo assegnato al medico competente nell’ambito dell’organizzazione aziendale.Tale figura professionale ha fatto la sua comparsa nel nostro ordinamento con l’art. 33 del d.P.R. n. 303 del 1956per essere poi delineata ulteriormente dagli artt. 95 – 98 del d.P.R. n. 320 del 1956concernente l’assistenza relativa a lavoratori esposti a sostanze tossiche o infettanti o che risultassero comunque nocive. In seguito con l’art. 2 d.P.R. n. 962 del 1982 e con l’art. 15 d.lgs. n. 277 del 1991 il predetto obbligo di sorveglianza sanitaria veniva esteso a tutte le aziende che esponevano i lavoratori ad agenti chimici, fisici e biologici durante il lavoro. Con il d.lgs. n. 626 del 1994 (artt. 3 e 7) il legislatore ha stabilito la generalizzazione di tali attività in tutte le aziende c.d. a rischio.
Il d.lgs. n. 81/2008 ha stabilito una ancora più organica disciplina normativa dei garanti della sicurezza sul lavoro, ivi compreso il medico competente, quale collaboratore che coadiuva l’imprenditore nell’esercizio dei suoi obblighi prevenzionali, in quanto portatore di qualificate cognizioni tecniche e, dunque, nell’ambito di un rapporto di natura privata e, al contempo, con un ruolo contraddistinto da connotati di natura pubblicistica in quanto è tenuto ad operare con imparzialità nell’ottica esclusiva della tutela dell’integrità fisica dei lavoratori.
Anche a seguito della riforma avvenuta con il d.lgs. n. 106/2009 i compiti del medico competente si suddividono essenzialmente in tre categorie:
a) i compiti c.d. professionali costituiti essenzialmente dal dovere di effettuare la sorveglianza sanitaria, ovvero l’insieme degli atti medici finalizzati alla tutela dello stato di salute dei lavoratori, in relazione all’ambiente di lavoro, ai fattori di rischio professionale e alle modalità di svolgimento dell’attività lavorativa.
b) i compiti c.d. collaborativi rappresentati dal dovere di cooperare con il datore di lavoro alla programmazione del controllo dell’esposizione dei lavoratori ai rischi. La partecipazione del medico competente alla fase di valutazione dei rischi aziendali garantisce allo stesso un’approfondita conoscenza dell’organizzazione dei processi lavorativi e gli consente, conseguentemente, di fissare adeguate misure di prevenzione ed efficaci protocolli sanitari; nell’ambito di tale attività occorre un suo coinvolgimento, da parte del datore di lavoro, anche nella redazione del documento di valutazione dei rischi e nella agevole individuazione delle possibili cause di eventuali disturbi riferiti dal lavoratore;
c) i compiti c.d. informativi consistenti: – nel dovere primario di informare i lavoratori sul significato della sorveglianza sanitaria e, nel caso di esposizione ad agenti con effetti a lungo termine, sulla necessità di sottoporsi ad accertamenti sanitari anche dopo la cessazione dell’attività; – nel dovere di fornire, a richiesta, informazioni analoghe ai rappresentanti per la sicurezza dei lavoratori; – nel dovere di esprimere per iscritto, in occasione delle riunioni di cui all’art. 35 (riunioni periodiche, obbligatorie nelle aziende con più di 15 dipendenti aventi ad oggetto il tema della sicurezza), al datore di lavoro, ai rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, i risultati anonimi collettivi della sorveglianza sanitaria effettuata e fornisce indicazioni sul significato di detti risultati ai fini della attuazione delle misure per la tutela della salute e della integrità psico – fisica dei lavoratori.
2.1. Tra gli obblighi ex lege incombenti sul medico competente risulta di fondamentale rilievo la programmazione e lo svolgimento della sorveglianza sanitaria attraverso protocolli sanitari, calibrati sui rischi specifici, tenendo conto degli indirizzi scientifici più avanzati e dello stato generale di salute del lavoratore (cfr. artt. 38 e segg. del d.lgs. n. 81/2008).
In particolare la ratio sottesa all’art. 41 del predetto decreto legislativo è quella di prevenire qualunque forma morbosa provocata dal lavoro ed è mirata alla formulazione di un giudizio di idoneità alle mansioni specifiche che tenga conto di tutte le caratteristiche psico – fisiche del lavoratore confrontate con il peculiare contesto ambientale.
In tale ottica la predetta disposizione impone, tra l’altro:
-la visita medica preventiva intesa a constatare l’assenza di controindicazioni al lavoro cui il lavoratore è destinato in relazione alla mansione specifica;
-la visita medica periodica per controllare lo stato di salute dei lavoratori ed esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica, stabilita di norma, in una volta l’anno, ma che può assumere cadenza diversa stabilita dal medico competente in funzione della valutazione del rischio; l’organo di vigilanza, con provvedimento motivato, può disporre contenuti e periodicità della sorveglianza sanitaria differenti rispetto a quelli indicati dal medico competente;
-la visita medica, su richiesta del lavoratore, al di fuori dai controlli periodici, qualora sia ritenuta dal medico competente correlata ai rischi professionali o alle sue condizioni di salute, suscettibili di peggioramento a causa dell’attività lavorativa svolta, al fine di esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica;
-la visita medica in occasione del cambio della mansione onde verificare l’idoneità alla mansione specifica;
-la visita medica alla cessazione del rapporto di lavoro nei casi previsti dalla normativa vigente. Tali visite devono essere svolte secondo i canoni classici della semeiotica, della raccolta approfondita dell’anamnesi, di un attento e mirato esame obiettivo e con lo svolgimento degli esami clinici e biologici ritenuti necessari. Inoltre, per alcuni rischi lavorativi, regolamentati da apposite leggi, esistono protocolli diagnostici minimi obbligatori, comunque implementabili a giudizio del medico competente. Per la maggioranza dei rischi, invece, la scelta di accertamenti complementari è lasciata alla valutazione del medico cui spetta di non trascurare l’esecuzione delle indagini utili per una diagnosi precoce, anche in periodo preclinico, di eventuali malattie professionali, e, nel contempo, constatare il permanere delle condizioni di sopportabilità del rischio.
All’esito il medico competente esprime uno dei seguenti giudizi relativi alla mansione specifica:
a)idoneità; b) idoneità parziale, temporanea o permanente, con prescrizioni o limitazioni c) inidoneità temporanea; d) inidoneità permanente.
Avverso tali giudizi è ammesso ricorso, entro trenta giorni, all’organo di vigilanza territorialmente competente che dispone, dopo eventuali ulteriori accertamenti, la conferma, la modifica o la revoca del giudizio stesso.
2.2. L’art. 58 del d.lgs. n. 81/2008 delinea il quadro generale delle sanzioni, penali ed amministrative, che si pongono a presidio e a completamento della complessa disciplina delle attribuzioni e funzioni proprie del medico competente.
Fatta eccezione per l’illecito commissivo introdotto dal d.lgs. n. 106/2009 (ovvero l’effettuazione di sorveglianza sanitaria per accertare stati di gravidanza o negli altri casi stabiliti dalla legge) gli illeciti contravvenzionali previsti da tale disposizione sono di pura omissione in quanto puniscono il mancato assolvimento dei singoli obblighi gravanti sul medico e previsti dal correlato art. 25.
2.3. Oltre che di tali reati propri, il medico competente risponde, nella qualità di titolare di un’autonoma posizione di garanzia, delle fattispecie di evento che risultano di volta in volta integrate dall’omissione colposa delle regole cautelari poste a presidio della salvaguardia del bene giuridico – salute dei lavoratori – sui luoghi di lavoro, direttamente riconducibili alla sua specifica funzione di controllo delle fonti di pericolo istituzionalmente attribuitagli dall’ordinamento giuridico.
3.Tanto premesso, va anzitutto evidenziato, in punto di fatto, che, per quanto emerge dalle sentenze di merito, il C.V. aveva provveduto a consegnare i risultati delle analisi cliniche e in particolare degli esami ematologici al A.M. consigliandogli di recarsi dal medico curante per ulteriori approfondimenti diagnostici mentre quest’ultimo non aveva dato alcun seguito a tali indicazioni. È opportuno precisare che non è prevista, al riguardo, alcuna interlocuzione diretta da parte del medico competente nei confronti del medico curante del lavoratore, cosicché nessun rimprovero a tale titolo può essergli addebitato.
3.1. Ciò posto, il ragionamento sviluppato dalla Corte distrettuale e posto a fondamento della statuizione di condanna risulta affetto sia dal vizio di violazione di legge che dalle dedotte inconferenze motivazionali.
Ed invero, non risulta adeguatamente sviluppato il tema volto a verificare se, nello svolgimento delle visite periodiche eseguite dal C.V. negli anni 2012 e 2013 nei confronti del A.M., sulla base delle effettive conoscenze, sia cliniche che di lavoro, o, comunque, di quelle conoscibili, e nella correlata formulazione dei relativi giudizi di idoneità alle mansioni specifiche, sia ravvisabile, a suo carico, la sussistenza di una condotta colposa tenuto conto dei doveri cautelari attribuitigli dall’ordinamento giuridico in ragione della sua specifica posizione di garanzia rivestita.
Va in ogni caso considerato che il presupposto della rimproverabilità soggettiva nei confronti dell’imputato implica la prevedibilità dell’evento che va compiuta ex ante, riportandosi al momento in cui la condotta è stata posta in essere avendo riguardo anche alla potenziale idoneità della stessa a dar vita ad una situazione di danno e riferendosi alla concreta capacità del soggetto di uniformarsi alla regola cautelare, da commisurare al parametro del modello dell’homo eiusdem professionis et condicionis, arricchito dalle eventuali maggiori conoscenze da parte dell’agente concreto (Sez. 4, n. 53455 del 15/11/2018, Rv. 274500).
Inoltre, a fronte di una condotta attiva indiziata di colpa che abbia cagionato un certo evento, occorre, poi, operare il giudizio controfattuale, ovvero chiedersi se, in caso di c.d.
comportamento alternativo lecito, l’evento che ne è derivato si sarebbe verificato ugualmente e ne rappresenti la concretizzazione del rischio.
Le argomentazioni sviluppate dai giudici di merito al riguardo sono meramente congetturali, illogiche ed inconferenti: il Tribunale di Como ha affermato testualmente che “l’imputato avrebbe dovuto…non dare la piena idoneità lavorativa, non solo perché con una patologia così grave non si comprende come possa essere idoneo al lavoro” ed inoltre “così facendo avrebbe costretto il lavoratore a intraprendere i dovuti accertamenti diagnostici” mentre la Corte di appello ha sottolineato che il giudizio di idoneità lavorativa lo avrebbe indotto a riferire alla moglie che “era tutto a posto”.
Si rammenta, inoltre, che nelle ipotesi di omicidio o di lesioni colpose in campo medico, il ragionamento contro – fattuale, condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica, universale o statistica, deve essere svolto dal giudice tenendo conto della specifica attività che sia stata specificamente richiesta al sanitario (diagnostica, terapeutica, di vigilanza o di controllo) e che si assume idonea, se realizzata, a scongiurare o ritardare l’evento lesivo, come in concreto verificatosi, con altro grado di credibilità razionale (Sez. 4, n. 30649 del 13/06/2014, Rv. 262239). Sussiste, pertanto, il nesso di causalità tra la condotta omissiva tenuta dal medico e il decesso del paziente allorquando risulti accertato che la condotta doverosa avrebbe inciso positivamente sulla sopravvivenza del paziente nel senso che l’evento non si sarebbe verificato ovvero si sarebbe verificato in epoca posteriore, rallentando significativamente il decorso della malattia, o con minore intensità lesiva (Sez. 4, n. 18573 del 14/02/2013, Rv. 256338).
4. Alla stregua di quanto sopra esposto la sentenza impugnata va annullata con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte d’appello di Milano.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo esame ad altra sezione della Corte d’appello di Milano.
Così deciso il 21/07/2020
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